Dieta senza glutine
Nata per i
celiaci, oggi la dieta senza glutine è un fenomeno di massa, merito anche di
tante star, che la seguono nella convinzione che sia più sana e faccia
dimagrire. Ma è proprio così?
Senza glutine o gluten free,
dall’inglese, basta guardarsi intorno per vederlo scritto ovunque: nei menu dei
ristoranti (più di duemila quelli segnalati nel sito dell’Associazione Italiana
Celiachia o Aic), nelle brochure degli alberghi, sugli scaffali di farmacie e
supermercati, dove le confezioni di pasta e prodotti da forno, ma anche di
birre, gelati e caramelle aglutinate finiscono nei carrelli di un numero sempre
più alto di consumatori. La conferma arriva sempre dall’Aic, secondo cui nel
2012 il giro d’affari dei cibi privi di glutine ha registrato vendite per 237 milioni di euro, il
6,4% in più rispetto all’anno precedente.
Cifre importanti,
che nascondono un timore sempre più diffuso nella comunità scientifica, quello
che la scelta di mangiare alimenti gluten free abbia oltrepassato i confini
della necessità medica, per diventare uno stile di vita dettato dalla moda. Sempre
più individui sani, condizionati dall’esempio di alcuni personaggi famosi, si
stanno convincendo che la dieta aglutinata sia più salutare, meno pericolosa
per il girovita e perfino più chic. Questo, però, non corrisponde alla realtà.
È vero, però, che all’origine di
questa moderna insofferenza
alimentare c’è una sostanza
amica del palato (è il glutine che dà consistenza a molti cibi: per esempio,
rende gommoso il pane e assicura alla pasta il giusto punto di cottura), ma
difficile da “maneggiare” per il nostro corpo.
Il
glutine è un complesso proteico che si forma quando le farine di alcuni cereali
(frumento, avena, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale) vengono impastate
con l’acqua. Il problema è che contiene anche alcune molecole "tossiche" (i peptidi), che oltre a renderlo
non digeribile per tutti,
tendono ad alterare
l’equilibrio dell’intestino.
Tutto
ciò non basta a fare di questo ingrediente il nemico numero uno della nostra
salute. La maggior parte di noi, infatti, ci convive benissimo o con fastidi
che spesso passano inosservati. Un esempio? Quel leggero gonfiore addominale
che compare dopo una porzione un po’ abbondante di pastasciutta. Seccante,
certo, ma non così grave da spingerci a stravolgere le nostre abitudini a
tavola.
Chi invece deve subire una vera
rivoluzione alimentare sono quei 600 mila italiani malati di celiachia o intolleranza al glutine: una
patologia capace di procurare sintomi ben più seri, come dissenteria, debolezza e perdita di peso. In queste
persone il glutine scatena una reazione del sistema immunitario che, a sua
volta, provoca un’infiammazione delle pareti dell’intestino. Questa reazione fa
atrofizzare i villi intestinali, dei piccoli ripiegamenti del tessuto che
funzionano come un filtro per l’assorbimento dei nutrienti. Di conseguenza, la
mucosa diventa sempre più permeabile e lascia penetrare nel sangue le stesse
tossine (o antigeni) del glutine, che a loro volta stimolano il sistema
immunitario a produrre gli anticorpi specifici, cioè gli anti-transglutaminasi.
Di fronte a un sospetto di celiachia,
infatti, il medico prescrive due esami: la biopsia
dei villi intestinali e il prelievo del sangue, per
verificare appunto la presenza degli anticorpi. Esiti alla mano, la diagnosi è
sicura al 100%. E quando è positiva, non lascia spazio a dubbi: il glutine va
eliminato dalla dieta.
Lo stesso non si può dire di un altro
disturbo, dai contorni molto più sfuocati: la
sensibilità al glutine.
È stato
scoperto solo tre anni fa, grazie a un numero crescente di pazienti che, pur
non essendo celiaci, lamentavano un malessere
diffuso dopo aver mangiato
cibi che contenevano questa sostanza. Si sa ancora troppo poco di questa
sindrome che, di sicuro colpisce l’intestino, provocando gonfiori, stitichezza, diarrea, ma in modo meno grave:
l’infiammazione delle mucose, infatti, non porta mai all’atrofia dei villi
tipica della celiachia. In più, questo disturbo procura una serie di fastidi
molto variabili, spesso di natura
neurologica, come dolori
articolari, formicolii,
mal di testa, nervosismo e apatia.
Il più grande punto di domanda
riguarda la diagnosi.
Ad oggi, infatti, non esiste un solo esame che confermi la sensibilità al
glutine.
I
medici vanno per esclusione, orientandosi grazie ai racconti dei pazienti, che
però spesso sono difficili da interpretare. E quando è possibile, fanno una
diagnosi in “doppio cieco”: il soggetto annota i disturbi, senza sapere se sta
mangiando cibi gluten free. In questo modo, si cerca di escludere l’effetto
nocebo: l’atteggiamento di chi è così convinto che una sostanza sia dannosa,
tanto da sentirsi male quando la assume. Secondo gli esperti, infatti, il condizionamento
mentale è molto più frequente
di quel che si pensi, mentre la sensibilità al glutine accertata (che costringe
anch’essa a una dieta gluten free) colpisce solo lo 0,5-1,5% della popolazione.
Che
cosa significa? Che la maggior parte delle persone che affermano di sentirsi
meglio se non mangiano questa sostanza, in realtà sono vittime di una suggestione globale e purtroppo
contagiosa, che ancora una volta, come spesso accade per le tendenze
alimentari, parte dalle celebrities.
Ma i prodotti aglutinati non solo non aiutano a dimagrire,
ma addirittura fanno salire il
bilancio energetico: per dare sapore agli alimenti, infatti, il glutine
viene sostituito con sostanze più caloriche, come amidi, carboidrati e oli
vegetali (i più usati sono quelli di cocco, colza e palma). Allo stesso modo,
non c’è motivo di credere che eliminare questo ingrediente dalla tavola
migliori l’aspetto della pelle o garantisca maggiore efficienza sul lavoro.
Detto
questo, è chiaro che provare un pasto a base di cibi privi di glutine, giusto
per vedere l’effetto che fa, non comporta alcun rischio. Quello che va evitato, invece, è la diagnosi
fai da te, magari seguita da una dieta gluten free auto prescritta.
Così facendo, ci si mette in una
situazione di instabilità
clinica. Se davvero c’è una sensibilità al glutine, o magari una celiachia,
il medico non potrà diagnosticarlo, poiché il regime aglutinato, nel frattempo,
avrà migliorato i disturbi e riportato i valori ematici nella norma.
Altri
rischi da tenere presente? Considerati i costi degli alimenti sostitutivi, a
rimetterci potrebbe essere il portafoglio.
Sono salati. Basti pensare che un
chilo di pasta può superare gli 8 euro, fino a 16 se si scelgono le lasagne.
Per una confezione da sei merendine bisogna sborsare più di 4 euro, mentre per
un chilo di frollini ne servono almeno 9. Il pane? Può arrivare a costare anche
12 euro al chilo.
La
buona notizia è che i prodotti privi di glutine sono considerati dei
dietoterapeutici e, come tali, pagati dal Servizio Sanitario Nazionale. Ma
attenzione: solo ai malati di celiachia, non a chi soffre di sensibilità al
glutine.
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