Il latte è il primo, vitale alimento dei cuccioli di ogni specie di mammifero. Finito lo svezzamento, però, solo i cuccioli d'uomo continuano a consumarlo, in quantità variabili a seconda dei Paesi, delle mode e persino dell'eredità genetica che si ritrovano. Un rapporto complicato quello tra uomo e il latte e diversi studi sembrano confermare l'opinione di molti nutrizionisti e mettono in dubbio i benefici generalmente attribuiti al latte di origine animale, fino a considerarlo addirittura un pericolo per la salute. Cerchiamo di fare chiarezza su questo dibattito, che si è riacceso con la pubblicazione, negli ultimi mesi, dei risultati allarmanti di alcuni studi condotti su vasti campioni di popolazione negli Stati Uniti e in Europa. Decine di migliaia i soggetti sotto osservazione, selezionati tra "categorie" significative perché composte da individui motivati sui temi dell'alimentazione: per lo più medici, ma anche persone che si riconoscono in particolari filosofie alimentari, dai vegani ai vegetariani fino ai difensori della carne a ogni costo. 
Il fantasma che anima la discussione sul latte è il cancro, in particolare quello alla prostata e al seno, che le "evidenze statistiche" delle ultime ricerche hanno appunto messo in relazione col consumo di latticini. Negli Usa, col programma decennale Physicians Health Study sono stati tenuti sotto osservazione 20.855 medici (maschi), divisi in due gruppi: i "consumatori di latticini", con oltre 2 porzioni e mezzo di latte e derivati al giorno, e coloro che invece di questi prodotti fanno un uso molto ridotto (mezza porzione) o addirittura nullo. Tra gli individui del primo gruppo la probabilità di sviluppo di cancro alla prostata è stata superiore del 30%. Un secondo programma di ricerca, Health Professionals Follow-Up Study, avviato nel 1999, ha monitorato circa 50.000 soggetti. Tra questi, i grandi consumatori di latticini hanno sviluppato una percentuale di rischio di insorgenza di cancro alla prostata del 70% superiore rispetto all'altro gruppo. Ma c'è di più: dai dati raccolti i ricercatori hanno dedotto che la percentuale di rischio cresceva in modo rapidissimo tra quanti avevano un consumo medio giornaliero di calcio di 2.000 mg (2 grammi) o più. E così hanno messo in relazione diretta il cancro alla prostata con il calcio, uno degli elementi dei latticini a cui si attribuisce più importanza, presente nel latte in quantità variabile attorno ai 120 mg per 100 grammi di parte commestibile (il riferimento è al latte di vacca Uht intero). Un più recente programma di ricerca finlandese su un campione di 29.133 uomini specifica con maggiore chiarezza il rapporto tra tumore e calcio: nel gruppo con un'alimentazione ricca di calcio (più di 2 grammi al giorno) la percentuale di rischio è stata del 63% superiore rispetto a chi ne ha consumato meno di 1 grammo al giorno. L'eccesso di calcio ali
mentare inibirebbe l'attivazione della vitamina D, essenziale alla salute della prostata. E nella popolazione femminile, le ricerche evidenziano risultati simili per i rischi relativi al tumore al seno. 
 
Il calcio contenuto nel latte e nei suoi derivati contribuisce alla solidità della massa ossea? È un'assicurazione contro l'osteoporosi? I risultati del National Health and Nutrition Examination Survey (Stati Uniti) non sembrano lasciare spazio a dubbi: l'assunzione di calcio non dimostra effetti protettivi. Il motivo andrebbe cercato nelle proteine animali di cui è ricco il latte stesso (e le carni, è naturale). Le proteine "mobilizzano" il calcio dalle ossa, proprio come se lo grattassero via, provocandone poi l'escrezione per via urinaria. La ricerca, per la verità, evidenza che lo stesso effetto ce l'hanno anche il sale, la caffeina, il tabacco... ma ciò non impedisce alle "linee guida dietetiche" degli americani di suggerire una dose massima giornaliera di un bicchiere di latte. 
Una prima reazione forte a questi risultati viene da Gregory Miller, vice presidente del National Dairy Council, la potente lobby americana dei produttori di latte e derivati: «Altre ricerche indicano invece una stretta relazione tra il consumo di latticini e l'ottima salute delle ossa, buoni valori di pressione arteriosa e una sostanziale riduzione del rischio di cancro al colon», afferma. Potrebbe sembrare una difesa d'ufficio, ma non è così, perché le ricerche a cui fa riferimento sono altrettanto ampie e autorevoli, condivise da una parte della comunità dei nutrizionisti. «Il vero problema», continua Miller, «sta nell'identificare ciò che davvero scatena il cancro e in quale momento, perché ogni cellula che potrebbe sviluppare un tumore attraversa una lunga serie di "stati pre-tumorali" la cui natura è tutt'altro che nota. Un fattore esterno qualunque potrebbe essere potenzialmente scatenante in una fase e innocuo in un'altra.» E questo spiegherebbe perché ricerche sostanzialmente simili possano arrivare a risultati opposti: «Il consumo regolare di latticini riduce il rischio di tumore al seno dopo la menopausa», dichiarava Marjorie L. McCullough al congresso dell'American Cancer Society (Atlanta, dicembre 2005), forte dei risultati di una ricerca su 68.876 donne. 
Tutto ciò davvero non aiuta a fare chiarezza, e lo ha ben sottolineato il dottor Francesco Cipriani, dell'Agenzia Regionale di Sanità (Toscana) nel corso di un convegno sul rapporto tra alimentazione e salute: «L'insieme delle "evidenze" riassunte dalle commissioni internazionali sui rapporti tra latte e derivati e le patologie tumorali non è conclusivo. Né per un effetto protettivo, né per uno di rischio». Allora come dobbiamo comportarci nelle nostre abitudini alimentari? La conclusione di questo dibattito è ancora lontana, ma, nel dubbio, probabilmente moderare i consumi di latticini fin dai primi anni di vita sembra essere la scelta migliore. Un bicchiere di latte può bastare. Almeno finché non ne sapremo di più...